MOSTRA Francesco Cito | Coma - vite sospese

dal 2 al 15 dicembre 2012 | ore 9.00 > 14.00
VERNISSAGE domenica 2 dicembre ore 10.30
Villa Pignatelli - Casa della Fotografia | Napoli

I loro occhi ti guardano, sembrano scrutarti attentamente, sembrano volerti chiedere chi sei, sembrano... ma il loro, è solo buio. La scienza dice che la loro corteccia celebrale è morta. Sono figli, sono mariti, sono padri, madri, sono i tanti, vittime di incidenti stradali, di cadute dal motorino, o investiti da un pirata della strada. E ancora, pazienti che non si sono più ripresi dall'anestesia durante un intervento chirurgico, o ancora, figli vittime di una dose eccessiva di ecstasy. Sono tanti.

Le stime dicono che le persone in stato vegetativo in Italia sono oltre tremila. Probabilmente sono molte di più, dal momento che non esiste un vero censimento. Molto spesso la loro esistenza è quasi totalmente a carico delle famiglie, lasciate sole a vivere un calvario nella speranza di un miracolo di una guarigione. Dopo centottanta giorni di tentativi di riabilitazione di chi entra in coma, le probabilità di recupero dallo stato vegetativo tendono a ridursi, e dopo il primo ricovero il cinquantacinque per cento dei pazienti torna a casa, il dodici per cento viene ricoverato in una struttura protetta. Solo il tre per cento viene accolto in una struttura di lunga degenza. Dopo un anno i numeri si perdono, ma di certo quasi tutti lasciati a se stessi, a carico delle famiglie.

Davide, figlio unico, aveva quindici anni quando fu sbalzato dal motorino. Dal coma allo stato vegetativo, è sempre stato accudito dai genitori. Una fatica morale e fisica durata venti anni, con viaggi negli Stati Uniti dal guru di turno nella speranza di una terapia che riportasse il loro figlio alla vita normale. Poi la rassegnazione ma senza mai perdere la speranza, e Davide continuamente assistito, con l'aiuto di volontari, per lavarlo, accudirlo, spostarlo per evitare le piaghe da decubito. La vita intorno a Davide ha ripreso a girare, un figlio resta un figlio sempre, e così, nonostante le condizioni, si sono festeggiati i suoi compleanni, i lunghi trasporti in un ospedale lontano per un controllo o un piccolo intervento, o la visita dal Papa.
Sempre con il sorriso sulle labbra, mamma Paola ha continuato imperterrita ad accudire il suo figliolo fino alla suo trentacinquesimo anno di vita non vita, poi un'improvvisa polmonite l'ha portato via dopo vent'anni in stato vegetativo.

Cristina aveva 14 anni quando a Bologna venne falciata sulle strisce pedonali all'uscita da scuola. Da trenta vive in stato vegetativo, con il padre anziano rimasto ormai solo, il suo tempo dedicato a lei. “Vorrei poter morire mezz'ora prima che accade a lei” ripete Romano, anche quando con alcuni amici festeggia il suo settantaduesimo compleanno, e Cristina, posta nella sua sedia a rotelle, sembra osservare a questa ricorrenza, questa quasi festa, a che la vita continui.

Federico è entrato in coma a seguito di un infarto, il sangue non è più arrivato al cervello undici anni fa. Ora vive in una struttura protetta insieme ad altri quaranta nel suo stesso stato. Sonia la madre, ogni giorno viene a trovarlo per restare con lui tutto il tempo e gli legge “Il piccolo principe.”
Lei gli parla, non importa se lui non mi risponde. Una volta ha dato segno di vita, ascoltando Samarcanda, la sua canzone preferita, una lacrima gli ha solcato il viso.

Max, trentotto anni, si è risvegliato dal coma dopo otto anni, mentre un giorno la mamma Lucrezia, in un attimo di stizza mentre lo accudiva, verbalmente lo mandò a quel paese. Allora la mano di lui le cinse il fianco ed è ritornato alla vita. I medici non hanno saputo dare una spiegazione scientifica, è più un miracolo che il frutto della scienza dicono. La sua mente nonostante il lungo periodo al buio, è lucida, ricorda la sua vita, e gli amici che non l'hanno mai abbandonato lo portano con loro, anche se non parla, se non riesce a reggere la testa. La sua muscolatura è inesistente e con la fisioterapia si tenta di ristrutturarlo, fargli riacquistare l'uso delle gambe, ma il processo è lento e non è certo.

Di storie come queste è pieno il paese, molte finiscono tragicamente, come il medico di Bologna Mario Migliori, il quale sapeva bene come fare. Non ne poteva più, aveva perso le speranze e dopo aver scoperto di avere un tumore e poco tempo da vivere, ha dato la morte alla moglie e al figlio in coma da cinque anni, e a se stesso. Quel figlio era diventato la ragione di vita per i genitori, la madre Isa per accudirlo aveva abbandonato la carriera di pianista. Li hanno trovati insieme sul letto con le flebo attaccate, in esse era stato inserito il veleno. Sul biglietto era scritto: “Me ne vado con tutta la famiglia, perché non ce la facciamo più.”

I riflettori, in questi casi, si accendono solo per ragioni di parte, come durante il caso Eluana Englaro, mentre in Parlamento è fermo il progetto di legge sul testamento biologico.

Francesco Cito